mercoledì 23 gennaio 2019

Le Pagelle del Fabiet - 2

Articolo pubblicati sul sito www.radionoventa.it 

Il nuovo appuntamento del sito di Radio Noventa, partito lunedi scorso, arriva alla seconda puntata. Si tratta di recensioni mordi e fuggi ma - e qui dovete fidarvi - l'ascolto non è certo così. Ogni album recensito viene ascoltato come minimo 2 volte per intero senza "salti". Poi passo alla scrittura: non esiste per ora un iter predefinito, cerco di trasmettere le emozioni che mi ha regalato l'ascolto e quantificare in breve l'aspetto tecnico/tecnologico/artistico. L'obiettivo è far capire se il prodotto ascoltato fa per voi. L'idea è tornare ad ascoltare la musica in modo continuo-non-fuggevole. Magari grazie alla radio....



La prima recensione della settimana mi intimorisce...difficile ascoltare e valutare il lavoro discografico di un grande della musica come Paul McCartney, il rischio di essere imparziale è sempre elevato soprattutto per un amante di (quasi) tutto quello che ha scritto. La capacità di scrivere belle canzoni e di arrangiarle sempre a livelli molto elevati è una caratteristica di Sir Paul. Non ha solamente scritto una delle più belle canzoni della storia ("Yesterday"), si è ripetuto più volte con o senza i Beatles. Ed è arrivato oggi a 75 anni con un bagaglio incredibile di bella musica scritta. Questo "Egypt Station" conferma quanto scritto: belle canzoni, arrangiamenti mai scontati si passa dal Rock'n'Roll duro e sofferto di "Come on to Me" alle classiche ballate come "Hand in Hand". Che dire? Un disco che va gustato dall'inizio alla fine, non ha brani "super" ma contiene una bella lezione a tutti noi di come la musica va ideata, scritta, pensata, arrangiata sempre a 360°. Lezione che, ricordiamo, arriva da un "ragazzo di oltre 70 anni che una volta suonava coi Beatles".
Voto 7,5: non il migliore di McCartney (ho apprezzato di più il precedente "New") ma da ascoltare più volte e...una lezione su come si fa un disco.




Dopo qualche anno di assenza (7) Patrizia Laquidara torna nel mondo discografico con "C'è Qualcosa che Ti Riguarda". Ci sentiamo tutti presi in causa, se Patrizia ha optato per questo titolo significa che un ascolto deve essere dato... sicuramente qualcosa che ci riguarda c'è! Vi avviso subito: non è un album che colpisce al primo ascolto, in primis la voce di Patrizia è spesso malinconica, profonda, non sempre solare come "le voci che vanno di moda oggi", sofferente, interprete stretta (e giustamente direi) dei testi che racconta. E una voce così va metabolizzata soprattutto da chi non la conosce: le emozioni vanno ricercate ascolto dopo ascolto, direi con un certo impegno. Inoltre, ogni canzone rappresenta un quadro, ogni quadro, come dice il titolo dell'album, potrebbe riguardarci ma di sicuro riguarda lei, la sua vita, le sue debolezze e le sue conquiste. Un lavoro gigantesco - soprattutto se pensiamo che si tratta di una produzione italiana - è stato fatto sugli arrangiamenti e sui suoni: prima parlavo di quadri, ogni quadro ha i suoi colori/suoni ricercati e una dimensione sonora che dovrebbe spingerci a più livelli di ascolto. Tutto questo grazie alla grinta di Patrizia che ha voluto e cercato questo progetto ma anche dell'arrangiatore / pianista Alfonso Santimone. Non arriva al massimo dei voti perchè - mi assumo la responsabilità di quanto scrivo - si poteva, a questo punto, osare anche di più. Ma il prodotto è ottimo.
Voto 9: un album che premia l'ascolto nel tempo continuando a stupirci con una ricerca artistica non comune in questi tempi, un regalo che potete farvi tenendo presente che le soddisfazioni non arriveranno dopo il primo ascolto.




Ecco un altro gruppo che torna ad un lavoro discografico dopo un po' (3 anni da "Drones).I Muse si sono ricamati uno spazio particolare, sono riconoscibili grazie ad un prezioso miscuglio di chitarre elettriche, sintetizzatori e atmosfere spesso apocalittiche (musicalmente parlando). Difficile trovare intimità nei loro brani che, quasi sempre, sfociano in ritmi pesanti, arrangiamenti pomposi e cantati maestosi. Non fa eccezione questo album che - va detto - non contiene picchi compositivi. La voce di Bellamy risulta sempre in primo piano bella, potente e importante. Largo uso di sintetizzatori, da sempre caratteristica del gruppo (e sicuramente nota positiva per il sottoscritto), in questo caso vengono utilizzati suoni analogici che richiamano ai primi synth di fine anni '70. L'alchimia con dei brani molto duri (chitarre elettriche e basso che pompa sempre presenti) funziona ma alla lunga - secondo il sottoscritto - stanca. Stanca perchè alla fine nonostante spunti interessanti pare di ascoltare sempre il solito brano. Qualche variante non ci stava male e l'esempio lampante è proprio il primo brano "Algorithm" che risulta più interessante e indovinato nella sua versione alternativa (presente nell'edizione Deluxe dell'album stesso). Non il lavoro più importante dei Muse, sicuramente contribuirà ad affermare ancora di più la band (e pare che questa musica piaccia), non c'è insufficienza e la band ha comunque lavorato bene. sicuramente il tour che seguirà darà molte soddisfazioni.
Voto 7: i Muse riescono ad essere riconoscibili grazie alle loro alchimie sonore e alla voce di Bellamy ma l'album scorre veloce senza picchi e la perla finale "The Void" non è sufficiente a farci riascoltare tutti i brani. Acquisto obbligato per i fans.



Nessun commento: