Giornalista fotografo e speaker radiofonico, Massimo Salvau conduce da molti anni “NOTE BLUES” per RADIO GOLFO DEGLI ANGELI, direttamente dalla bellissima SARDEGNA.
Fabio Ranghiero: Ciao Massimo, complimenti e grazie per dare il tuo importantissimo contributo al blues. Cominciamo con le presentazioni... da quanto ascolti il blues e soprattutto da quanto curi questa trasmissione "note blues" ? Hai intervistato veramente tantissimi artisti, fra i tanti ti va di parlare di qualcuno che ti ha colpito per qualche particolare virtù?
Massimo Salvau: Ascolto il blues dal 1994. Dopo un lungo periodo dedito al metal (4 anni di ascolto intensi che non rinnegherò mai) e qualche anno di musica grunge, ho poi conosciuto il blues. Già dal primo ascolto ho capito che non era uno stile musicale come tutti gli altri. Forse è per questo che mi ha preso dritto al cuore. Alla fine mi ha catturato completamente. Tanto da darmi la possibilità di organizzarmi un programma radiofonico. Un programma che curo e conduco dal 2000 e che mi entusiasma parecchio. Non è facile fare un programma di questo genere, su questo stile musicale, e per questo, secondo me, è anche una bella responsabilità. Anche perché intervisto tantissimi personaggi del blues italiano e, qualche volta, anche di livello internazionale (Solomon Burke, Ronnie Jones, Jono Manson…ed altri). Ecco la responsabilità di cui ti parlavo: far conoscere il blues nel modo giusto e anche i personaggi italiani che fanno blues. Dare ad ognuno di loro la possibilità di far conoscere il loro pensiero musicale, la loro musica ed anche cosa vuol dire, per loro, suonare il blues. Ed io miglioro imparando da loro. Fra tutti i personaggi che ho intervistato (fra un pò saranno 100 in quasi dieci anni di attività) non c’è uno che mi ha colpito per virtù o per la musica che fa. Tutti avevano una storia da raccontare e della musica di ottimo livello da far ascoltare. Tutti erano molto preparati ed io ho imparato molto dalle loro storie, dai loro racconti e dalla loro musica. Spero di poter continuare così ed intervistare ancora tanti altri artisti. Nel frattempo ringrazio moltissimo tutti quelli che ho già intervistato perché mi hanno permesso di portare avanti un progetto in cui credo molto.
F.R.: Allora visto che sei partito dal “metal” vorrei parlare dei miei amici “metallari”. Devo dire che ...l'abito non fa il monaco, infatti proprio questi amici mi hanno sempre sorpreso, dimostrando un'apertura mentale nei confronti di tutta la musica che è difficile da trovare. Non solo, questi “metallari” che spesso sono ingiustamente presi di mira dai media hanno (nella maggior parte dei casi) un rispetto ed un … amore incredibile per il blues! E' per questo che quando mi dici “dopo un lungo periodo dedito al metal son passato al blues” non mi sorprendi. Ci sono tantissimi elementi in comune fra i due generi, secondo me. Tu che ne pensi?
M.S.: Io, invece, penso che siano due stili musicali diversi e con storie diverse. Il metal è una sorta di rock tirato allo spasimo e in certi casi va molto molto oltre (vedi il Death Metal)…forse anche troppo! Il metal che ho conosciuto io (dal 1988 al 1992) era tutta voglia di ribellarsi, di mandare a quel paese persone (mi ricordo band come i Nuclear Assoult o Voivod…ad esempio), tutte chitarre distorte (vedi Slayer), ritmi velocissimi e violenti (vedi Wermacht….che suonavano hardcore) e c’era chi lanciava la bibbia durante i live (vedi gli Stryper) o chi beveva sangue e masticava pezzettoni di carne durante i live (vedi W.A.S.P). Il Metal era un insieme di tanti altri stili affini: glam, thrash, hardcore…etc Parlo sempre del periodo 1988 – 1992. Il blues è qualcosa di diverso. Sonny Terry & Brownie McGhee con il loro blues assolutamente semplice comunicavano alla grande e senza suonare un blues dai ritmi veloci…anzi! Muddy Waters, da solo, con il brano “You gonna need my help”, la versione acustica, riusciva ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore, che inesorabilmente non riusciva proprio a staccarsi dal suo modo di cantare e suonare. Valutando i due stili musicali noto questo: alla fine fra i due stili c’è un modo di proporsi del tutto differente. Il blues lo fa in un modo assolutamente normale, il metal lo fa con molta appariscenza. In entrambi i casi si parla di politica, di storie d’amore, di lotta per sfuggire alla povertà, di avventure sessuali..etc…
F.R.: Mi verrebbe da chiederti qual'è la tua visione del blues in Italia, ma visto che abiti in Sardegna, paese tanto bello quanto sconosciuto per molte persone....vorrei capire come viene vissuto il blues nell'isola, se ci sono produzioni importanti o se bisogna guardare verso il "continente" con la susseguente maggiorazione nei costi ed energie da parte dei musicisti.
M.S. : Ti dico cosa penso del blues. Il blues in Italia è vivo e vegeto ed è anche di ottima qualità. Non mancano le idee, non manca il coraggio di sperimentare qualcosa di nuovo e c’è sempre voglia di migliorarsi. C’è una cosa, però, che ci impedisce di fare ancora meglio: con il blues non ci si arricchisce (economicamente intendo). Il blues è tanta fatica, tanti bocconi amari da buttar giù, poca considerazione e pochi soldi da mettere in tasca. Molti (forse quasi tutti) sono costretti a fare un altro lavoro per poter vivere ed allora si è costretti a sacrificare il blues per poter portare avanti un discorso familiare, di reddito e di vita quotidiana da affrontare. Questo significa che molte idee positive vengono “frenate” da questo ostacolo e quindi tutto va più lento, c’è meno voglia di affrontare le situazioni musicali, ci sono più rinunce e si è consapevoli delle proprie potenzialità ma bisogna guardare anche l’aspetto economico della cosa. Come si dice…alla fine il gioco non vale la candela!. E questo è davvero un peccato perché altrimenti la qualità del blues in Italia sarebbe molto più alta, le nostre band parteciperebbero più spesso a blues festival internazionali, si organizzerebbero più festival nazionali (anche se ce ne sono già tanti) e forse i media parlerebbero di più del blues italiano. Ti ho fatto questo discorso perché da noi in Sardegna “il peso economico della cosa” si sente ancora di più. Una band sarda per suonare a Milano o a Roma o comunque fuori dalla Sardegna deve prevedere costi più alti rispetto ad altre band italiane. C’è un aereo da prendere o una nave (andata e ritorno), c’è un soggiorno da sobbarcarsi ed anche un eventuale trasporto (macchina, treno o bus). A tutto questo aggiungici che quando arrivi a destinazione suoni quasi gratis o comunque ciò che ti danno spesso non bilancia le spese. Molti festival e locali della penisola queste spese non vogliono sostenerle e dunque le cose sono due: o paghi di tasca tua oppure semplicemente rinunci. Il blues, da noi in Sardegna, viene vissuto proprio in questo modo. C’è un movimento che più o meno esiste, fatto di band che si contano sulle dita di una mano, che sono di ottimo livello ma suonano poco perché hanno tutti un altro lavoro. L’entusiasmo non manca ma vige anche un certo scetticismo, la voglia di confrontarsi non manca di certo e da tempo hanno ormai quasi rinunciato ad andare nella penisola perché non c’è la convenienza a farlo. Però bisogna anche dire che quelle poche volte che le band sarde si sono mosse dalla Sardegna hanno poi fatto parlare di se. E’ il caso dei Roots and Blues di Cagliari (il caso più recente) che al Festival di Rovigo per un pelino hanno sfiorato la vittoria e non sono poi andati a Memphis. Al momento attuale il nostro rappresentante più quotato è Francesco Piu, che ormai suona più nella penisola che non in Sardegna. Il suo, però, è un caso particolare. Suona da solo e con artisti del luogo, non si porta dietro una band. Quindi non ci sono tutte quelle grosse spese che di solito ci sono per una band. Tra i festival di musica neroamericana c’è sicuramente il Narcao Blues che in oltre vent’anni di attività ha portato nella nostra regione personaggi assolutamente insperati (John Mayall, James Cotton, B.B. King, Charlie Musselwhite e tantissimi altri), ha dato la possibilità a molti artisti italiani che fanno blues di esibirsi e che, nonostante le difficoltà economiche con finanziamenti regionali e altro, va avanti come un treno. Avevamo anche il Rocce Rosse & Blues ma…sta diventando sempre meno blues. Comunque qualcosa sta cambiando, in positivo. Stanno nascendo nuovi festival. Speriamo che durino. E per quanto riguarda i locali dediti solo ed esclusivamente al blues…semplicemente non c’e ne sono.
F.R.: Purtroppo la situazione che descrivi è reale. Ma non pensiamo ai soldi per un attimo. Secondo te c'è anche un problema culturale? Se ci fosse più ascolto di Blues (e generi ad esso collegati naturalmente) forse ci sarebbero più investimenti nel settore. Più soldi insomma. E quindi più appagamento, meno frustrazione. Più musica. Esiste, secondo me, un potenziale pubblico pronto a capire il genere, pronto a muoversi per ascoltarlo, pronto a valorizzarne gli artisti. Solo che non arrivano input in quanto il business è altrove. Che ne pensi?
M.S. : Intendiamoci: chi suona il blues non è per nulla frustrato o per nulla appagato…anzi!! Se c’è uno stile musicale che ti da delle enormi gratificazioni questo è proprio il blues!!! Solo che alle volte ti rendi conto che magari vorresti fare di più….e non puoi farlo, perché non ci sono le disponibilità economiche! Tornando alla tua domanda…non credo che sia un problema culturale perché ormai l’aperura mentale dell’ascoltatore medio è tale che ascolta quasi tutto indistintamente e con una certa attenzione. E quindi è in grado di capire e distinguere certe differenze musicali, e di apprezzarle. Come dire….ha affinato l’orecchio! E comunque far ascoltare di più il blues non vuol dire diffonderlo maggiormente, idem scrivere di più di blues o parlare di più del blues. Alla fine tu dici bene….gli input sono altrove! Non c’è nulla da fare. Dietro questi input c’è anche un discorso di marketing e di contatti con radio e televisione. Alla fine tutto è un business. Il vil denaro occorre sempre! Alla fine il blues rimarrà uno stile musicale per molti ma non per tutti. Lo è sempre stato. Lo dice la storia del blues, lo dice la storia della musica. In ogni caso è importantissimo parlare, suonare o scrivere sempre di blues. Anche se la platea, gli ascoltatori e i lettori sono pochi intimi.
F.R.: Restiamo sempre a contatto con il blues. Può ancora dire molto ai giovani e in questo che ruolo può giocare la radio?
M.S. : Il blues, secondo me, è quasi una filosofia di vita. O lo senti dentro o non lo senti. E’ uno stile musicale che ti da delle grandissime soddisfazioni. Sia che tu lo suoni, che lo fai ascoltare o che lo scrivi per una rivista alla fine senti dentro di te delle sensazioni di appagamento assolutamente uniche. Non che gli altri stili musicali non siano la stessa cosa ma…il blues è il blues. Chi se ne occupa da anni (vedi Fabio Treves o Edoardo Fassio..e non solo loro) penso che capisca quello che voglio dire. Il blues può insegnare molto ai giovani e la radio ha un ruolo importante, però io dico che ad avere un ruolo importante sono soprattutto coloro che fanno ascoltare il blues in radio. Lo devono fare con la responsabilità di chi sta insegnando ai giovani (e non solo ai giovani) a distinguere i vari stili del blues, a conoscere il significato del blues, la sua storia, i suoi artisti e quant’altro. Il blues bisogna farlo conoscere in tutte le sue parti ed è per questo che chi ne parla deve conoscerlo bene e quando lo presenta, o lo fa ascoltare, lo deve sentire prima di tutto dentro di se. E comunque non dimentichiamo che alla fine la radio è solo uno strumento, se mancano gli uomini giusti a far conoscere questo stile musicale (speaker, giornalisti, musicisti, direttori artistici e quant’altro) alla fine il tutto è solo musica che va in onda e voci.
Le opinioni rappresentano gli autori, e pur nella libertà concessa a chiunque di leggere e riprendere i contenuti, nessuna modifica può essere giustificata se non quando autorizzata dal firmatario.
Fabio Ranghiero: Ciao Massimo, complimenti e grazie per dare il tuo importantissimo contributo al blues. Cominciamo con le presentazioni... da quanto ascolti il blues e soprattutto da quanto curi questa trasmissione "note blues" ? Hai intervistato veramente tantissimi artisti, fra i tanti ti va di parlare di qualcuno che ti ha colpito per qualche particolare virtù?
Massimo Salvau: Ascolto il blues dal 1994. Dopo un lungo periodo dedito al metal (4 anni di ascolto intensi che non rinnegherò mai) e qualche anno di musica grunge, ho poi conosciuto il blues. Già dal primo ascolto ho capito che non era uno stile musicale come tutti gli altri. Forse è per questo che mi ha preso dritto al cuore. Alla fine mi ha catturato completamente. Tanto da darmi la possibilità di organizzarmi un programma radiofonico. Un programma che curo e conduco dal 2000 e che mi entusiasma parecchio. Non è facile fare un programma di questo genere, su questo stile musicale, e per questo, secondo me, è anche una bella responsabilità. Anche perché intervisto tantissimi personaggi del blues italiano e, qualche volta, anche di livello internazionale (Solomon Burke, Ronnie Jones, Jono Manson…ed altri). Ecco la responsabilità di cui ti parlavo: far conoscere il blues nel modo giusto e anche i personaggi italiani che fanno blues. Dare ad ognuno di loro la possibilità di far conoscere il loro pensiero musicale, la loro musica ed anche cosa vuol dire, per loro, suonare il blues. Ed io miglioro imparando da loro. Fra tutti i personaggi che ho intervistato (fra un pò saranno 100 in quasi dieci anni di attività) non c’è uno che mi ha colpito per virtù o per la musica che fa. Tutti avevano una storia da raccontare e della musica di ottimo livello da far ascoltare. Tutti erano molto preparati ed io ho imparato molto dalle loro storie, dai loro racconti e dalla loro musica. Spero di poter continuare così ed intervistare ancora tanti altri artisti. Nel frattempo ringrazio moltissimo tutti quelli che ho già intervistato perché mi hanno permesso di portare avanti un progetto in cui credo molto.
F.R.: Allora visto che sei partito dal “metal” vorrei parlare dei miei amici “metallari”. Devo dire che ...l'abito non fa il monaco, infatti proprio questi amici mi hanno sempre sorpreso, dimostrando un'apertura mentale nei confronti di tutta la musica che è difficile da trovare. Non solo, questi “metallari” che spesso sono ingiustamente presi di mira dai media hanno (nella maggior parte dei casi) un rispetto ed un … amore incredibile per il blues! E' per questo che quando mi dici “dopo un lungo periodo dedito al metal son passato al blues” non mi sorprendi. Ci sono tantissimi elementi in comune fra i due generi, secondo me. Tu che ne pensi?
M.S.: Io, invece, penso che siano due stili musicali diversi e con storie diverse. Il metal è una sorta di rock tirato allo spasimo e in certi casi va molto molto oltre (vedi il Death Metal)…forse anche troppo! Il metal che ho conosciuto io (dal 1988 al 1992) era tutta voglia di ribellarsi, di mandare a quel paese persone (mi ricordo band come i Nuclear Assoult o Voivod…ad esempio), tutte chitarre distorte (vedi Slayer), ritmi velocissimi e violenti (vedi Wermacht….che suonavano hardcore) e c’era chi lanciava la bibbia durante i live (vedi gli Stryper) o chi beveva sangue e masticava pezzettoni di carne durante i live (vedi W.A.S.P). Il Metal era un insieme di tanti altri stili affini: glam, thrash, hardcore…etc Parlo sempre del periodo 1988 – 1992. Il blues è qualcosa di diverso. Sonny Terry & Brownie McGhee con il loro blues assolutamente semplice comunicavano alla grande e senza suonare un blues dai ritmi veloci…anzi! Muddy Waters, da solo, con il brano “You gonna need my help”, la versione acustica, riusciva ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore, che inesorabilmente non riusciva proprio a staccarsi dal suo modo di cantare e suonare. Valutando i due stili musicali noto questo: alla fine fra i due stili c’è un modo di proporsi del tutto differente. Il blues lo fa in un modo assolutamente normale, il metal lo fa con molta appariscenza. In entrambi i casi si parla di politica, di storie d’amore, di lotta per sfuggire alla povertà, di avventure sessuali..etc…
F.R.: Mi verrebbe da chiederti qual'è la tua visione del blues in Italia, ma visto che abiti in Sardegna, paese tanto bello quanto sconosciuto per molte persone....vorrei capire come viene vissuto il blues nell'isola, se ci sono produzioni importanti o se bisogna guardare verso il "continente" con la susseguente maggiorazione nei costi ed energie da parte dei musicisti.
M.S. : Ti dico cosa penso del blues. Il blues in Italia è vivo e vegeto ed è anche di ottima qualità. Non mancano le idee, non manca il coraggio di sperimentare qualcosa di nuovo e c’è sempre voglia di migliorarsi. C’è una cosa, però, che ci impedisce di fare ancora meglio: con il blues non ci si arricchisce (economicamente intendo). Il blues è tanta fatica, tanti bocconi amari da buttar giù, poca considerazione e pochi soldi da mettere in tasca. Molti (forse quasi tutti) sono costretti a fare un altro lavoro per poter vivere ed allora si è costretti a sacrificare il blues per poter portare avanti un discorso familiare, di reddito e di vita quotidiana da affrontare. Questo significa che molte idee positive vengono “frenate” da questo ostacolo e quindi tutto va più lento, c’è meno voglia di affrontare le situazioni musicali, ci sono più rinunce e si è consapevoli delle proprie potenzialità ma bisogna guardare anche l’aspetto economico della cosa. Come si dice…alla fine il gioco non vale la candela!. E questo è davvero un peccato perché altrimenti la qualità del blues in Italia sarebbe molto più alta, le nostre band parteciperebbero più spesso a blues festival internazionali, si organizzerebbero più festival nazionali (anche se ce ne sono già tanti) e forse i media parlerebbero di più del blues italiano. Ti ho fatto questo discorso perché da noi in Sardegna “il peso economico della cosa” si sente ancora di più. Una band sarda per suonare a Milano o a Roma o comunque fuori dalla Sardegna deve prevedere costi più alti rispetto ad altre band italiane. C’è un aereo da prendere o una nave (andata e ritorno), c’è un soggiorno da sobbarcarsi ed anche un eventuale trasporto (macchina, treno o bus). A tutto questo aggiungici che quando arrivi a destinazione suoni quasi gratis o comunque ciò che ti danno spesso non bilancia le spese. Molti festival e locali della penisola queste spese non vogliono sostenerle e dunque le cose sono due: o paghi di tasca tua oppure semplicemente rinunci. Il blues, da noi in Sardegna, viene vissuto proprio in questo modo. C’è un movimento che più o meno esiste, fatto di band che si contano sulle dita di una mano, che sono di ottimo livello ma suonano poco perché hanno tutti un altro lavoro. L’entusiasmo non manca ma vige anche un certo scetticismo, la voglia di confrontarsi non manca di certo e da tempo hanno ormai quasi rinunciato ad andare nella penisola perché non c’è la convenienza a farlo. Però bisogna anche dire che quelle poche volte che le band sarde si sono mosse dalla Sardegna hanno poi fatto parlare di se. E’ il caso dei Roots and Blues di Cagliari (il caso più recente) che al Festival di Rovigo per un pelino hanno sfiorato la vittoria e non sono poi andati a Memphis. Al momento attuale il nostro rappresentante più quotato è Francesco Piu, che ormai suona più nella penisola che non in Sardegna. Il suo, però, è un caso particolare. Suona da solo e con artisti del luogo, non si porta dietro una band. Quindi non ci sono tutte quelle grosse spese che di solito ci sono per una band. Tra i festival di musica neroamericana c’è sicuramente il Narcao Blues che in oltre vent’anni di attività ha portato nella nostra regione personaggi assolutamente insperati (John Mayall, James Cotton, B.B. King, Charlie Musselwhite e tantissimi altri), ha dato la possibilità a molti artisti italiani che fanno blues di esibirsi e che, nonostante le difficoltà economiche con finanziamenti regionali e altro, va avanti come un treno. Avevamo anche il Rocce Rosse & Blues ma…sta diventando sempre meno blues. Comunque qualcosa sta cambiando, in positivo. Stanno nascendo nuovi festival. Speriamo che durino. E per quanto riguarda i locali dediti solo ed esclusivamente al blues…semplicemente non c’e ne sono.
F.R.: Purtroppo la situazione che descrivi è reale. Ma non pensiamo ai soldi per un attimo. Secondo te c'è anche un problema culturale? Se ci fosse più ascolto di Blues (e generi ad esso collegati naturalmente) forse ci sarebbero più investimenti nel settore. Più soldi insomma. E quindi più appagamento, meno frustrazione. Più musica. Esiste, secondo me, un potenziale pubblico pronto a capire il genere, pronto a muoversi per ascoltarlo, pronto a valorizzarne gli artisti. Solo che non arrivano input in quanto il business è altrove. Che ne pensi?
M.S. : Intendiamoci: chi suona il blues non è per nulla frustrato o per nulla appagato…anzi!! Se c’è uno stile musicale che ti da delle enormi gratificazioni questo è proprio il blues!!! Solo che alle volte ti rendi conto che magari vorresti fare di più….e non puoi farlo, perché non ci sono le disponibilità economiche! Tornando alla tua domanda…non credo che sia un problema culturale perché ormai l’aperura mentale dell’ascoltatore medio è tale che ascolta quasi tutto indistintamente e con una certa attenzione. E quindi è in grado di capire e distinguere certe differenze musicali, e di apprezzarle. Come dire….ha affinato l’orecchio! E comunque far ascoltare di più il blues non vuol dire diffonderlo maggiormente, idem scrivere di più di blues o parlare di più del blues. Alla fine tu dici bene….gli input sono altrove! Non c’è nulla da fare. Dietro questi input c’è anche un discorso di marketing e di contatti con radio e televisione. Alla fine tutto è un business. Il vil denaro occorre sempre! Alla fine il blues rimarrà uno stile musicale per molti ma non per tutti. Lo è sempre stato. Lo dice la storia del blues, lo dice la storia della musica. In ogni caso è importantissimo parlare, suonare o scrivere sempre di blues. Anche se la platea, gli ascoltatori e i lettori sono pochi intimi.
F.R.: Restiamo sempre a contatto con il blues. Può ancora dire molto ai giovani e in questo che ruolo può giocare la radio?
M.S. : Il blues, secondo me, è quasi una filosofia di vita. O lo senti dentro o non lo senti. E’ uno stile musicale che ti da delle grandissime soddisfazioni. Sia che tu lo suoni, che lo fai ascoltare o che lo scrivi per una rivista alla fine senti dentro di te delle sensazioni di appagamento assolutamente uniche. Non che gli altri stili musicali non siano la stessa cosa ma…il blues è il blues. Chi se ne occupa da anni (vedi Fabio Treves o Edoardo Fassio..e non solo loro) penso che capisca quello che voglio dire. Il blues può insegnare molto ai giovani e la radio ha un ruolo importante, però io dico che ad avere un ruolo importante sono soprattutto coloro che fanno ascoltare il blues in radio. Lo devono fare con la responsabilità di chi sta insegnando ai giovani (e non solo ai giovani) a distinguere i vari stili del blues, a conoscere il significato del blues, la sua storia, i suoi artisti e quant’altro. Il blues bisogna farlo conoscere in tutte le sue parti ed è per questo che chi ne parla deve conoscerlo bene e quando lo presenta, o lo fa ascoltare, lo deve sentire prima di tutto dentro di se. E comunque non dimentichiamo che alla fine la radio è solo uno strumento, se mancano gli uomini giusti a far conoscere questo stile musicale (speaker, giornalisti, musicisti, direttori artistici e quant’altro) alla fine il tutto è solo musica che va in onda e voci.
Le opinioni rappresentano gli autori, e pur nella libertà concessa a chiunque di leggere e riprendere i contenuti, nessuna modifica può essere giustificata se non quando autorizzata dal firmatario.
2 commenti:
Bellissima intervista, ho notato che viene anche citato il buon Francesco Piu, nel mio blog ho postato una sua intervista, fai pure un salto per darci un'occhiata.
Faccio un salto molto volentieri!!
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